domenica, febbraio 04, 2007

Ho scritto questa poesia subito dopo aver letto un interessantissimo articolo di Francesco Sicilia, mente insieme a Maria Luisa Pesce del sito di letteratura Animus et Anima. Il suo piccolo saggio parlava delle implicazioni mistiche-pagane con cui i Celti vivevano il solstizio d’inverno. Ho appreso molto dalle sue delucidazioni, esposte con passione e professionalità. Questo componimento prende spunto dalle sue informazioni e mi è sembrato corretto premetterlo.


SOLSTIZIO


Il freddo permane
su una manchevole dinamicità.
La luce viene partorita
da un allungamento meridionale.
Una pioggia curiosa tamteggia
sulle porosità dell’asfalto demaniale.
Nei campi tornati vergini,
infantili pecore assorbono
il latte immortale,
risvegliando l’ottimismo
di tribù rupestri.
Oltre il dosso dell’incendio,
antichi pensatori ammiccano
ad un favorevole ottimismo.
Rispettando il presagio
di una magia che sa di fede.
Omelie in onore della triade.
Ruota. Coppa. Specchio.
Il futuro è in ciclica presenza.
“Bridget, proteggi il fuoco.
Questa è la tua notte”
La fanciulla del grano semina
desideri di prosperità da consegnare
ad adulti cristiani dall’ostia facile.
La diversità piove
ed asciuga le uguaglianze;
il vecchio ed il nuovo convergono
nell’unico embrione.
Piccolo crogiolo di infinita potenza…
in un semplice bucaneve…
è lì che alberga l’eternità.

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