giovedì, luglio 05, 2012

Nuova poesia

AGIRE





Il caso non sa di esistere e nemmeno
di appartenere alla vicenda puntuale.

Nessuno si lascia amare con facilità,
conoscersi davvero è un bene
che si abbraccia a fatica.

Quando i formalismi tornano giovani,
nel momento in cui il vero sposa la verità
i cuori s’incarnano.

Il legame eterno unisce la stella lontana
alla vicina farfalla
affiancando il miracolo all’intesa del sogno.

L’animo coraggioso sposta lo schema
nella casa dell’impossibile,
solo così il destino saprà come sparire
oltre l’esistenza dei vivi.







lunedì, marzo 12, 2012

Con gratitudine e ammirazione, ringrazio Lucianna Argentino.

Accade, a volte, a qualcuno di arrivare a un punto della propria esistenza in cui sente di dover trasformare in scrittura e attraverso la scrittura quello che dentro preme. Come se la vita vissuta fosse arrivata a un tale punto di surriscaldamento che alla fine, come un vulcano, erutta, esplode. E il fare poesia di Iago così come è espressa in questo suo nuovo libro “L'alibi perfetto”, Bel-Ami edizioni, sembra proprio un'eruzione di parole e di cose che egli sente l'urgenza di tradurre sulla pagina. Il rapporto fra Iago e la scrittura è un rapporto recente, ma molto intenso e viscerale perché, ed è egli stesso ad affermarlo, in lui c'è sempre stata una “predisposizione poetica verso la vita”. Predisposizione che lo ha portato ad essere vicino agli “ultimi”, ai reietti della società ed è stato, forse, il contatto così forte con questa umanità dolente a fecondare il seme di poesia che covava nel suo intimo e che a poco a poco è sbocciato. D'altra parte è lui stesso, nella nota dell'Autore, a dire che questo libro è dedicato “ai dimenticati, ai mai nominati, ad ogni fantasma urbano”. La tensione lirica che percorre il libro è tutta volta, dunque, verso il tentativo di descrivere ciò che il suo sguardo coglie non solo della realtà che ci circonda, ma della realtà che è dentro di noi e soprattutto a come questa si manifesti poi nei nostri atti non sempre coerenti con ciò che realmente siamo e con ciò che realmente sentiamo. Negli anni Sessanta del Novecento critici e poeti per dire la loro incapacità di comunicare hanno inventato una formula molto calzante “la comunicazione della non – comunicazione”. Questo per dire che la vexata quaestio di poesia non poesia occupa da tempo le menti di quanti la poesia, per un motivo o per un altro, frequentano. Questo anche per dire che Iago nel suo libro sembra percorrere il problema sorvolandolo, ossia tenendolo d'occhio ma seguendo la sua rotta, rimanendo fedele a se stesso come giustamente nota Letizia Leone nella prefazione. Letizia Leone parla anche di “disincanto” che se è presente per quell'aria “canzonatoria” che spira per tutto il libro, non credo sia l'elemento dominante perché di solito una delle connotazioni più forti dell'essere poeti è proprio la capacità di “incantarsi”, di stupirsi. Il disincanto e insieme una certa amarezza che si esprime attraverso una dolente ironia, sono, quindi, nella sua visione della vita, ma non nell'atto con cui egli la trasporta sulla pagina. C'è da aggiungere, tuttavia, che in alcuni versi egli esprime il suo dubbio legittimo sull'efficacia della poesia: “L'odierna creanza/ è un endecasillabo cieco/non può legare ciò che non vede”. Trovo che l'immagine dell'endecasillabo cieco sia molto bella e azzeccata oggi che la poesia sembra aver perso i punti di riferimento del passato e mi sembra si vada tutti, e non solo in poesia, a tentoni. Che tutti si brancoli nell'oscurità e nell'incertezza di questi tempi. Così per contrastare l'incertezza e fare un poco di luce nell'oscurità Iago mette una lente davanti al suo cuore. Prendo questi versi da una poesia di Aldo Palazzeschi, (leggerla) scritta in realtà, in polemica con la poesia del suo tempo, con Corazzini, in particolare, trasportando su un registro di satira e di parodia gli affetti che Corazzini aveva espresso con straziante malinconia. Sottolineando e facendosi portavoce dell'”impossibilità della poesia”, a patto di non essere più, come volevano i padri, incitamento, ammaestramento, poesia civile o patriottica. Impossibilità della poesia molto avvertita in quegli anni di transizione e che ciclicamente si ripresenta. Iago, dunque, mette il suo cuore sotto la lente della poesia per esprimere insofferenza verso il nostro esserci rassegnati al passo mediocre di questi tempi. La poesia, dunque, come antidoto all'intossicazione che ci avvelena tutti e di cui spesso non ci rendiamo conto, chiusi come siamo nelle nostre abitudini, in convinzioni asfittiche, nel continuo dubitare e resistere a ciò che è l'essenza della nostra umanità. La poesia come solidarietà, come amicizia. perché i poeti hanno “il coraggio dei sani di cuore” e attraverso la loro poesia ci dicono che non è mai troppo tardi, che per ognuno può arrivare il momento del cambiamento, del rinnovamento, l'importante è saperlo cogliere e farne vita vissuta. In tre versi della poesia “Dedica” Iago esprime una sorta di dichiarazione di poetica: “La morte del coraggio, la proliferazione del virus mediocrità / l'indifferenza dei custodi del credo,/ danno forma al mio errare”. E più avanti: “Diventare è soffrire”. Là dove l'errare dà il senso del come il fare poesia sia un vagare senza punti fermi, senza dogmi o pregiudizi e sia pure un diventare, un trasformarsi con lei e per mezzo di lei, un continuo rinnovare e rinnovarsi che ad ogni cambiamento provoca travaglio e dunque sofferenza. Questi versi, pertanto, potrebbero essere presi ad emblema del percorso poetico dell'autore e pure della misura di come e quanto l'indignazione sia la molla che lo spinge a scrivere, a usare la poesia vissuta come un “errare” tra le pieghe della vita con la consapevolezza del posto che essa occupa nella sua esistenza. Esistenza di cui egli avverte la caducità e le contraddizioni e di queste scrive. Racconta, infatti, di un'umanità in bilico su se stessa, in balia di se stessa e delle proprie paure e spesso i suoi versi risuonano di una cinica ironia in cui si avverte, tuttavia, il desiderio di scuotere il prossimo, di renderlo consapevole del tempo che scorre sulle nostre vite e della possibilità di viverlo pienamente che è data ad ognuno di noi. Nonostante ciò, nella poesia di Iago non sembra esserci salvezza – c'è sempre quell'endecasillabo cieco, emblema e metafora del silenzio incombente e minaccioso, - e questo si evince anche dallo stile della sua scrittura che si esprime attraverso un linguaggio in sintonia con la sua visione delle cose quindi non lirico ma anzi a tratti duro, secco, incalzante e stridente così come le immagini che usa e che poco spazio lasciano alla speranza di una redenzione. Sono immagini epigrammatiche, a volte dissacranti, asciutte che stridono come sabbia nella bocca. Per questo molte sue poesie e in particolare quella che chiude il libro, “Liturgia italiana”, sembrano costituite da un insieme di epigrammi, appunto, o aforismi tanto che ogni due o tre versi presi a sé hanno una loro valenza semantica completa e questo accade anche in altre poesie in cui i versi sembrano scaturire da un corto circuito iniziale e quindi si esprimono per lampi, per immagini immediate, per suggestioni subito impresse sulla pagina.


Eppure, concludendo, Iago dice di scrivere versi per avvicinarsi al segreto respiro delle cose, eppure già lo scrivere è un atto di fede che nessun disincanto può soffocare.

lunedì, febbraio 13, 2012

CAVO PENSANTE



Ci vuole molta pazienza

con voi esseri umani

che allacciate sembianze

alle vostre linee telefoniche

come fossero spaghetti

di fibre ottiche

unite da simulate attrazioni.

lunedì, ottobre 17, 2011

Sconfitta...


Ne ho veramente le tasche piene. In Italia ci sono i migliori poeti del mondo, ma i peggiori apprezzatori di poesia. Leggo di interviste fatte ai nomi più importanti e tutti concordano nel dire che l'italiano medio legge poco: vero. A nessuno di loro viene in mente di provare ad essere meno snob e a tentare di farsi vedere nelle situazioni di aggregazioni vere, nelle quali conoscere le persone e non solo quelle che porteranno loro dei soldi partecipando ad antologie, ai corsi di pseudo-scrittura poetica e seminari variamente conditi dalla noia. La crisi è del poeta non della poesia, in discussione viene messo il ruolo del poeta e non della poesia. L'autoreferenzialità, le reciproche classifiche di merito... spesso fatte dagli stessi poeti, la mancanza di coerenza fra ciò che si cerca di scrivere e ciò che si fa (può un poeta parlare di valori assoluti e poi fottere l'amica della figlia?). Oggi serve verità di pensiero, d'azione, di vita. Il poeta è l'araldo del vero e per questo perderà sempre.

domenica, ottobre 09, 2011

“L'alibi perfetto” è quello che ci creiamo tutti. Sempre. Appiglio costruito per poter prendere o lasciare senza rimorsi (ma esistono veramente?) e senza problemi: nell'amore, nella famiglia, nel lavoro, nell'amicizia, nella vita. Iago afferma che l'alibi è “una scusa, il lasciapassare per la sopravvivenza”. E forse è meglio così. Meglio l'alibi, che il terribile gesto di sollevare quel velo di Maja che ci permetterebbe di contemplare la vera essenza delle cose: crudeltà, egoismi, dolore.


Con la sua nuova raccolta di poesie, però, Iago solleva quel velo nell'intento di scardinare l'alibi.

“Al centro una luce blu svanisce/ l'attesa trova fine nel contorno nascente,/eccola finalmente è arrivata sulla terra,/ l'ennesima foglia di fico”.

Da qui, da “Eden”, si dipana il caleidoscopio delle piccole e grandi nefandezze, pubbliche e private, dei sogni infranti, “delle scelte non fatte, delle vite sognate”, come dice il poeta, che ognuno tenta di coprire con la propria foglia di fico. “Mi chiedo perché,/scappo da mille quesiti/abbracciando ovvie affermazioni/che mi renderanno inutile/salvando una progenie da domande identiche”.

E la Storia che si è “venduta pur di esistere, pur di illudere” non è altro che l'altare dell'Egoismo che svela il suo tallone d'Achille. Ma “i cuori ricoperti con buste d'acciaio” non lo trafiggeranno mai. “Non ce la faranno a far sapere/che per uccidermi/serve un semplice gesto d'amore”.

Scavo lucido e amaro, a tratti venato da fine ironia, dentro l'uomo e dentro i rapporto sociali, “Vite in prestito/nelle mani dell'usuraio che li ha illusi,/consigliare al mendicante di emozioni/di non toccare, di non guardare, di non desiderare”.

Perché la società umana – ieri e oggi - è gestita da “un ufficio brevetti che crea menzogne“, veicolate da stampa, televisione, politica, sindacati, religione. “Il motivo ricorrente premia/chi invoca propagande discrete,/la moltitudine confonderà/di nuovo la coerenza con la tranquillità/e pallidamente preleverà/dalla generale riserva di sonno,/altro tempo da ingannare”.

Ma quelle che potrebbero non essere un alibi - l'arte, la solidarietà, l'onestà, l'umiltà di chi conosce l'essenza della vita, lievi spiragli di luce che filtrano in un verso, in una parola, nei testi di Jago - diventeranno ancore di salvezza?

Forse no, forse sì, forse sono anch'esse destinate al fango. “Il rantolo dell'arte/ è udito dagli avvoltoi della professionalità”: ma di che cosa stiamo parlando se non di una raccolta d'arte che cerca – come devono fare i veri artisti – di scavare nella società coeva?

E c'è ancora spazio per chi vuole uscire dal deserto delle anime e delle menti? Chissà! “La sensibilità lavora nel buio/ con la speranza a far da torcia/ sorelle separate da piccole”. Anche la natura non è scevra da questo dualismo “Vespa e farfalla si posano/sullo stesso fiore/una per uccidere l'altra per morire”.

Poi la “virtù” sotterraneamente più disprezzata a livello sociale, quanto esaltata pubblicamente:

“Umiltà; virtude eccelsa o simbolo di debolezza?”. Eccelsa solo se scelta serenamente nei propri percorsi di vita alla ricerca di se stessi, non condizionata da stati di necessità che fanno abbassare la testa e trasformano gli uomini in “fantasmi urbani”. Comunque severamente vituperata nell’Italia di oggi. Come Iago osserva in “Liturgia italiana”. “Ingegno e castità/la fede è un animale da monta/seviziata al Luna Park dei busti elettronici”. Questa poesia che chiude la raccolta, e che il poeta considera come un commiato al lettore, mi ha fatto pensare alla Canzone all'Italia di Petrarca: “Italia mia, benché 'l parlar sia indarno...” Il nostro si definisce un poeta del terzo millennio, ma le piaghe italiane si trascinano nella storia.

La disincantata liturgia dei nostri mali nazionali “Coscienza italica, omicidio mai denunciato….. Non c’è futuro migliore che quello ottenuto da una memoria assente” si dipana però in tutto il testo in un afflato generale. Con i ritmi, i versi, le metafore affilate, il cozzo delle sinestesie, Iago getta uno sguardo – cinico, accorato, fustigatore, annichilito, arrabbiato, dolce - su tutta la società attuale e i rapporti segreti fra gli uomini che la percorrono, per arrivare al cuore delle verità nascoste che molti conoscono e pochi hanno il coraggio di praticare.



Antonella Mosca – giornalista Il Messaggero - Ansa

Etichette: ,

mercoledì, ottobre 05, 2011

Consigli di un poeta atipico

È da tempo che volevo postare queste considerazioni. Da quando ho iniziato a constatare che le mie poesie interessavano alle persone. Nel tempo sempre più giovani poeti mi chiedevano consigli su come comportarsi nei riguardi dell’eterogeneo mondo della scrittura ed in particolare verso quello della poesia. In questa sede stabilirò delle priorità, diciamo uno specchietto delle cose da fare che spero aiuti nella maniera giusta. Fermo restando che un poeta che si definisce tale deve avere un adeguato bagaglio conoscitivo, intendendo con ciò lo studio sistematico dei poeti del passato ed attuali.


1- Non abbiate il desiderio deleterio di vedervi pubblicati a tutti i costi, specie i vostri costi. Pubblicare con una casa editrice che vi chiede soldi, non offre nessun vantaggio. Rimane vero che diversi grandi scrittori del passato si auto pubblicarono le prime opere, come rimane vero che prima le case editrice si contavano sulle dita di una mano monca. Oggi solo a Roma ne esistono circa 90.

2- Stabilite un budget annuale in grado di permettervi di partecipare ai concorsi di poesie inedite. Molti concorsi inseriscono le migliori poesie in antologie, inizierete così a confrontarvi con altri modi di intendere la poesia. Non pensate al premio, un poeta non è mai il premio che vince.

3- Partecipate a serate di letteratura, incontri tenuti dai migliori poeti, presentazione di altri autori, usate internet per interagire con i siti del settore. Ve ne sono di buoni, potete così provare a farvi commentare e a commentare le poesie degli altri.

4- Cercate poeti e scrittori nella zone dove risiedete e con loro, portate avanti progetti comuni. Oggi un poeta deve farsi vedere nelle situazioni, nessuno verrà a bussare alla vostra porta chiedendo le vostre opere.

5- Se proprio non ce la fate a seguire questi punti perché volete pubblicare, allora è giusto che sappiate che sono veramente pochissime le case editrici che effettuano una distribuzione seria. Un gran libro che nessuno vede non esiste! Dovete muovermi principalmente per conto vostro… per il resto buona scrittura.

martedì, marzo 15, 2011

Sui concorsi di poesia:


Strano come si riesce ad ingannare noi piccoli scrivani che tentano di unire verità a leggibilità. Nel nostro paese esistono più concorsi di poesia che in qualsiasi parte dell'universo... ieri ho sentito un mio amico scrittore su Aldebaran, mi parla dell'esistenza di pochi scrittori e di pochissimi poeti. Da quelle parti non fanno concorsi, nè stabiliscono regole false, in base alle quali uno è e l'altro no. Da noi, terra di facile conquista, il sistema è tenuto in piedi dai soliti noti... nomi altisonanti, che in base a criteri personali (molto personali), fanno vincere ologrammi bipedi che scrivono come la mia piccola sorella. Il giorno che leggerò di un talento puro che ha vinto un premio, giuro che cambierò sesso... e magari mi sposo con uno scrittore.

Alcuni istanti dopo la creazione di Eva, nei pressi dell’albero del peccato:




Donna,
partorirai soffrendo
dovrai provvedere ai tuoi figli.

Darai il buon esempio,
mostrerai sempre il tuo buon umore
facendoti carico dei dolori dei tuoi cari.

Donna,
sistemerai la casa
lavorerai per la famiglia
e per te il riposo non esisterà
se non dopo quello degli altri.

In ultimo rammenta al tuo sposo
che l’ho fatto a mia immagine
lui sarà il faro della tua vita;
ma ora devo lasciarti
perché sta per rientrare mia moglie
ed è parecchio incazzata.