giovedì, febbraio 22, 2007

LA ZAPPA E LA CRAVATTA
(Iago)

Un interno di una lussuosa villa. Un uomo ben curato si sta svestendo. Ĕ rientrato dopo aver terminato un’importante riunione di lavoro; di quelle che si tengono intorno ad un immacolato tavolo. Insieme ad altri distinti pensatori che non si sa per quale strano motivo, hanno la generale convinzione di possedere il destino del mondo nelle loro candide mani.
Indossa la vestaglia e prende con cura la sua cravatta, tolta pochi istanti prima. Dopo averla lavata esce di casa e la stende.
Un esterno di un piccolo possedimento terriero. Un contadino decide di fermarsi, compiaciuto ma anche provato dal duro lavoro. Per oggi può bastare. Poggia la sua zappa nelle vicinanze di un recinto. Zona di demarcazione tra il lussuoso ed il cencioso.
La cravatta, adesso, fissa dall’alto la zappa e con fare altezzoso la stuzzica “ma come fai? Guardati, sei sporchissima. Il tuo padrone non si prende neanche il disturbo di ripulirti. Ti usa, ti sbatte per terra. Ore ed ore sotto il sole implacabile, o in balia dei capricci del tempo.”
La zappa sorniona non risponde. Ha lavorato sodo ed è stanca, comunque ascolta con composta attenzione.
“Sai dove sono stata oggi?” continua la cravatta, “ah, come era bello stare in mezzo ad altre cravatte, tutte lucide e colorate, al collo di persone importanti. C’era il presidente con tutto il suo seguito, ed il mio padrone, a parlare di questo o di quel progetto.”
“Uhm…interessante”, continua la zappa con fare dignitosamente sarcastico. “Al diavolo”, prosegue indispettita la cravatta, “sto qui a parlare ed a perder tempo con un volgare pezzo di ferro invecchiato. Una stalla non diventerà mai una reggia.”
“E se una stalla non volesse diventare mai una reggia?” prosegue la zappa, abbozzando un ambiguo sorriso. “Che vuoi dire?” chiede l’altra, incuriosita. La zappa prende in simpatia la giovane cravatta ed in modo sincero, intende stimolarla a prestare più attenzione a ciò che le gravita intorno, aggiungendo, “non ti sei mai chiesta, vero, perché non incontri mai cravatte anziane, nelle tue riunioni di lavoro tra persone importanti?”
“Perché io sono immortale”, sproloquia frettolosamente la cravatta.
“Una lavata, una risanante asciugata e via verso la bella vita. Noi perseguiamo scopi che tu non riesci minimamente ad immaginare.”
“Bè, sicuramente”, aggiunge la zappa, “voi servite quelli che dei finti sorrisi ne fanno un credo, utilizzando abiti firmati e movenze studiate a tavolino; per ingannare e convincere i dubbiosi, secondo convalidate ipotesi sociali. Voi decorate l’artificiosità; non fate altro che questo. I vostri padroni non vi vogliono bene, non provano per voi nessun tipo di sentimento. Nel mondo in cui vivono, non c’è posto per questa rarità.
Probabilmente, io non ascolterò mai parole dorate sfornate dalle migliori università, ma il mio padrone mi rispetta e mi ama; finchè vivrò sarò orgogliosa di aiutarlo a modellare Madre Terra per trarne sostentamento per lui e la sua famiglia. Questo è il mio ruolo. Io sono una zappa.”
“E tale resterai”, profetizza la cravatta, “ma adesso, finiscila con questo sermone, sta arrivando il mio bel padrone. Rientro in scena. Guardami, mentre torno nell’eterno gusto del lusso”.
L’uomo la prende con attenzione, assicurandosi che sia ben asciutta; poi rincasa per prepararsi alla nuova riunione.
L’ennesima messa in scena della “comunicabilità”.
Se una figura estranea potesse osservare dall’alto questo ritrovo, giurerebbe che i presenti si amino alla follia.
Strette di mano, pacche sulla spalla; quanta armonia, che intesa.
Verso la fine della serata, però, qualcosa va storto e l’idillio si rompe. La giovane cravatta, sempre ben esposta, non si cura di quanto avviene. “Non sono affari miei”, riflette tra sè. L’uomo, al termine della riunione, esce di corsa. Ĕ infastidito e contrariato. Nell’atto di uscire, urta un suo collega, che nelle mani teneva un bicchiere di succo d’amarena. “Accidenti”, commenta spazientita la cravatta, “quanto è appiccicoso questo liquido. Bè, ora che arriviamo a casa, il mio padrone provvederà a ripulirmi per bene, così tornerò bella ed incantevole come prima.”
Lui è ora alla guida della sua sprintosa macchina. Si toglie la cravatta e la poggia sul sedile, alla sua destra. Dopo qualche chilometro, mentre passa su un ponte sovrastante un lago, tira giù il finestrino e prende la devota cravatta. La guarda con uno sproporzionato disprezzo e la getta verso il grande specchio d’acqua. La giovane cravatta non fa nemmeno in tempo a capire cosa sta accadendo, che già si trova ad annaspare, “che fredda quest’acqua, però una lavata mi ci vuole; altrimenti come fa lui senza di me. Io sono unica.” A questo pensava lei, mentre, con fatale calma, sprofondava nelle fetide acque di quel lago stagnante. Un nuovo giorno rende evidente un’area condivisa. Un recinto, separa ancora un interno da un esterno; ed un’altra giovane cravatta, interrompe il sapiente riposo di una vecchia zappa…il resto è cosa nota.

domenica, febbraio 04, 2007

Ho scritto questa poesia subito dopo aver letto un interessantissimo articolo di Francesco Sicilia, mente insieme a Maria Luisa Pesce del sito di letteratura Animus et Anima. Il suo piccolo saggio parlava delle implicazioni mistiche-pagane con cui i Celti vivevano il solstizio d’inverno. Ho appreso molto dalle sue delucidazioni, esposte con passione e professionalità. Questo componimento prende spunto dalle sue informazioni e mi è sembrato corretto premetterlo.


SOLSTIZIO


Il freddo permane
su una manchevole dinamicità.
La luce viene partorita
da un allungamento meridionale.
Una pioggia curiosa tamteggia
sulle porosità dell’asfalto demaniale.
Nei campi tornati vergini,
infantili pecore assorbono
il latte immortale,
risvegliando l’ottimismo
di tribù rupestri.
Oltre il dosso dell’incendio,
antichi pensatori ammiccano
ad un favorevole ottimismo.
Rispettando il presagio
di una magia che sa di fede.
Omelie in onore della triade.
Ruota. Coppa. Specchio.
Il futuro è in ciclica presenza.
“Bridget, proteggi il fuoco.
Questa è la tua notte”
La fanciulla del grano semina
desideri di prosperità da consegnare
ad adulti cristiani dall’ostia facile.
La diversità piove
ed asciuga le uguaglianze;
il vecchio ed il nuovo convergono
nell’unico embrione.
Piccolo crogiolo di infinita potenza…
in un semplice bucaneve…
è lì che alberga l’eternità.