sabato, febbraio 02, 2008

Nota sulla poesia di Iago

Roberto Sannino, in arte Iago, costruisce con il suo Negativo a colori (Akkuaria, 2007) una silloge poetica sospesa tra un’ansia di perfezione manieristica e l’indissolubile nodo che lega problematicamente l’Io – l’Ego tanto evocato in queste pagine – alla realtà. Non solo in molte delle liriche del nostro autore si riscontra ossessivo il motivo di una incredulità di fronte al mondo, che in poesia si trasforma in impossibilità di seguire il filo degli eventi, ma piuttosto il tema centrale della raccolta sembra essere una sorta di indecidibilità dell’io poetico di fronte alle forme di organizzazione del discorso. Entrando ed uscendo da quello che è l’unico creatore del dettato poetico – l’Autore che ha perso qualsiasi credibilità in un mondo in cui la poesia, di fatto, non conta nulla e non muta nulla –, Iago ricostruisce abilmente i momenti di questa “fame di perfezione” che mai si realizza. E allora versi come «Errare sulla mia testa, / succhiare il brodo della teatralità. / Denuncio la scomparsa di me…» (Trascuratezza, p. 35), mi fanno pensare a una ricerca di corporeità negata che unisce, in qualche modo, il fare poetico a una necessità oggettiva e quasi fisica. Stupisce, poi, come nei versi di Sannino l’impossibilità di una coincidenza piena tra Io e mondo si trasformi in bisogno di sintesi (basti citare: «Come si può nascere / tra le lacrime e morire felici? / La semplicità, / è la più grande tra le difficoltà», Trinità, p. 31), spesso solo vocale, come da chiusa di La voce.
Percorrendo il libro, spesso incontriamo massime fulminee, frasi che si chiudono nel verso stesso, e una certa tendenza a soggettivizzare l’infinito presente e all’accumulazione debordante. Ciò suggerisce, in alcuni tratti, una eccedenza scrittoria che affoga la pagina e la riempie di turbini e salti. Sannino riesce meglio, si può dire, nelle liriche in cui ricerca, invece, la sintesi e si accontenta di immagini meno barocche. Ma è nella sua poetica, se vogliamo, il gusto dell’eccedenza, che coincide con una condizione primigenia e bambinesca, ormai perduta e quindi ricercata, sofferta e voluta, come canta in questi versi: «La speranza muore, / quando uccidi / il bambino che è in te. / Innocenza, spontaneità / e dolcezza vengono / soppiantate da una tacita / premeditazione» (Inquietudine,p. 43). È un Io che ritiene prioritaria, in un mondo martoriato dalla lotta umana (poco presente, a dire il vero, in questa silloge), la ricostruzione e strutturazione dell’identità, e la giudica, in qualche modo, come condizione necessaria per un giudizio sul mondo. E detto questo, ci aspettiamo da Iago, nelle sue prossime prove poetiche, che certo non mancheranno di suscitare notevoli apprezzamenti, una poetica più risoluta ed essenziale, che sappia offrirci, con l’occhio particolare di un autore certamente sensibile e fedele alla parola, uno sguardo più attento sul mondo e sulla realtà.


Marco Gatto, critico letterario.